I suoni di Venezia - parte 1 |
La voce di Venezia è trasparente. Non ho più dubbi ora, dopo che per un’intera giornata mi sono fermata ad ascoltarla. Ho lasciato che fosse Venezia a parlarmi questa volta e non il contrario come sempre succede. Sarà l’abitudine a tutta la magia che Venezia sprigiona a rendere i Veneziani così intorpiditi e disattenti, mi dico, sarà che quando si nasce qui non si può proprio immaginare come sia ricca l’esperienza sensoriale di chi invece a Venezia ci viene da turista. |
Per una volta voglio provare a sentire la mia città con le orecchie di chi se la trova di fronte per la prima volta, ma voglio anche provare a ripescare nella memoria tutti i suoni che fanno la voce di questa mia Venezia così unica e irreale, così fuori dal mondo, così silenziosamente sonora. |
A Venezia non ci sono automobili se non in quella manciata di metri quadri su cui sorge Piazzale Roma, il terminal veneziano degli autobus. È proprio qui, in questa piazza che non è una piazza bensì un intasato piazzale d’approdo per qualsiasi veicolo a ruote, che avviene il distacco tra noi e il mondo. Si lascia l’auto, la corriera, la moto, l’autobus, la bicicletta o quant’altro, si fanno due passi verso l’acqua e le consuete sonorità cittadine, cui tutti sono bene o male avvezzi, diventano all’improvviso un lontano ricordo- a Venezia si è barbaramente e miracolosamente privati dal frastuono del traffico, dal rombo dei motori, dal borbottio delle marmitte di scarico, dallo schiamazzare dei clacson e dallo stridio dei pneumatici sull’asfalto. Che delizia! |
A Venezia non c’è l’asfalto. Sulle dure pietre d’Istria (i masegni per i Veneziani) su cui poggia la città, il rumore dei passi si fa nitido, ritmico e musicale, a volte sincopato, a volte dilatato tanto da poter indovinare le fattezze del camminatore dal sonoro delle suole sulla pietra- questo è un ragazzino, ecco un anziano, una donna tirata a festa, un cane di mezza taglia, un signore che va di fretta, una pantegana, il fantasma di mio zio! Venezia è umana – nelle orecchie – dal vocio sommesso di due vecchie amiche che si confidano tra la cupa quiete delle calli e dei sotoporteghi, fino allo strillare concitato degli ambulanti, dei batidori, dei barcaioli e dei turisti. |
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